1)Lei è figlio dell’attore Maurizio Merli, celebre  una star dei film polizieschi anni 70. Innanzitutto ama quel genere? Che cosa può raccontarci di suo padre sia dal punto di vista professionale che umano?

Sono il figlio di una vera e propria icona del cinema italiano, suo malgrado rimasto nella leggenda anche a causa della sua morte tanto improvvisa quanto prematura. Non è stato facile, ho imparato sulle mie spalle a conviverci, inevitabile il paragone, ma col tempo ho imparato a fregarmene, e a guardare la mia strada, siamo due attori estremamente differenti, col tempo la gente se ne è resa conto e ha iniziato a valutarmi con maggior attenzione e obiettività.Il genere poliziesco e action sono parte di me del mio bagaglio emozionale e professionale, cerco sempre di sottolinearlo nelle mie opere specialmente ora che mi sto dedicando maggiormente alla scrittura e alla regia anche se credo che quello sia il look da dare al film, la cosa più importante è una scrittura solida e credibile. Una storia e dei personaggi che creino un’empatia immediata. Ci giochiamo tutto nel primo quarto d’ora…come nella vita.

Mio padre dal punto di vista professionale mi ha insegnato ad essere un professionista prima un artista poi, ad amare il mio lavoro continuando a crederci anche quando tutto e tutti vogliono buttarti giù. Da un punto di vista umano mi ha insegnato ad essere un uomo pulito e leale soprattutto mi ha insegnato la sensibilità, era identificato come un duro, ma in realtà si commuoveva davanti ad un “vecchietto” in difficoltà.

2)La sua formazione teatrale presso l’Accademia Pietro Sharoff: esiste ancora il metodo Stanislavskijy  e secondo lei viene applicato realmente?

Ho avuto la fortuna di frequentare l’accademia Scharoff quando ancora rappresentava un’eccellenza a Roma, il mio maestro di “metodo” era il compianto Roberto De Robertis allievo diretto di Scharoff che ha contribuito alla stesura del terzo “metodo”, quello definitivo, lavorando accanto a Stanislavskij. Purtroppo questa gloriosa accademia vuoi per la crisi economica vuoi per una gestione discutibile del direttivo oggi ha perso parecchio del lustro passato.Il metodo Stanislavskij è qualcosa per cui si potrebbe parlare un mese intero, diciamo che io ho la mia idea, ma sicuramente la base di partenza rimane quella, poi ognuno ha la sua memoria emotiva e i propri meccanismi per poter vivere il personaggio da interpretare.Credo che ancora si faccia scuola usando il metodo il problema sono i buffoni travestiti da insegnanti, metto sempre in guardia chi si avvicina al mondo della recitazione. Ci sono troppo improvvisati.

3)Il suo lavoro con il maestro Luci, con l’attrice Gianluca Ferrato: la sua formazione di attore è stata influenzata da queste figure?

I miei primi passi sono in teatro, ancora ragazzino, e non posso non ringraziare sempre Antonio Racioppi mio vero “angelo custode” oggi più che mai. Poi non posso dimenticare Gianluca Ferrato per la mia formazione. Ho avuto la fortuna di lavorare con maestri tra i più grandi, da Capitani a Placido, passando per Giannini, Flavio Bucci. Capitolo a parte merita Claudio Fragasso tre film insieme, con lui il mio primo protagonista, qui il lavoro si mischia troppo con i sentimenti.

Ho sempre cercato di rubare con gli occhi da tutti, sia da colleghi attori che in gran segreto dai registi con cui lavoravo, erano già diversi anni che mi sentivo attratto dalla regia ma non lo ammettevo neanche a me stesso, ne avevo quasi paura, come se mi facesse allontanare da mio padre questa scelta. Fragasso un giorno al montaggio del nostro ultimo film, La Grande Rabbia, si accorse dei miei studi da regista fatti in gran segreto. Se parliamo di punti di riferimento, o di ispirazione sicuramente i fratelli Cohen e Guy Ritchie.

4)Il passaggio dal teatro alla fiction.Che cosa cambia nel lavoro di un attore?

Passare dal teatro al cinema o tv è sempre un triplo salto mortale, sono due cose completamente differenti è come essere un pilota di auto o moto. Ma incredibilmente uno non può fare a meno dell’altro. Attore si diventa sulle tavole del palcoscenico, al cinema e tv o sei fortunato di essere scritturato subito come protagonista oppure l’apprendistato diventa molto lungo e un po’ a singhiozzo. Il teatro è magia estemporanea, è adrenalina è un meraviglioso patto tra pubblico e attore. Il Cinema è la fabbrica dei sogni, dove l’idea diventa reale, vita reale. La fantasia al potere!

5)Nel 2007  viene scelto da Claudio Fracasso per il film “Milano Palermo il ritorno” e nella fiction “Aldo moro il presidente. Lo stesso Fracasso lo sceglie tra i protagonisti  del film “Le ultime 56 ore”.

Il 2006 e il 2007 in realtà sono stati l’anno della svolta in un colpo solo vengo scritturato per Ris delitti imperfetti per la tv e insieme arrivano Milano Palemo il ritorno di Fragasso e Aldo Moro- il presidente Di Tavarelli. Praticamente avevo un ruolo bello “grosso” nei due BOOM dell’anno del cinema e della televisione. Dentro di me credevo fosse fatta avevo 26 anni mi sentivo forte avevo tutto ciò che si potesse desiderare. In realtà ero fragile e con un cognome pesante. Arrivò un po’ di successo ed io invece di buttarmi nella mischia, mi sono nascosto.

Nel 2008 ho fatto delle cose per la tv ma niente di importante, il 2009 e il 2010 sono stati gli anni più importanti. Mi chiama Claudio (Fragasso) mi invita a pranzo, sul tavolo sopra al mio piatto la sceneggiatura delle Ultime 56 ore. Mi saluta ciao Jacopo (personaggio del film). Esco dal ristorante tremante riesco solo a chiamare mia madre e dirgli…faccio il mio primo protagonista al cinema…

Il resto è storia recente…un film tosto che parla di una tematica tosta uscito in un momento tosto! Era stata una storia da trattare con tanta delicatezza e anche l’uscita nelle sale doveva essere programmata meglio, invece ci siamo ritrovati in mezzo ad un contenzioso molto più grande di noi con un film che parlava proprio di quello, in quel momento era benzina sul fuoco, sei mesi dopo forse sarebbe stato capito di più…

6)Tra il 2010 il 2012 passa a dirigere la  macchina da presa. Un passaggio fondamentale che darà una nuova impronta nella sua carriera professionale. Cosa si intende e cosa lei intende per cinema indipendente?

Dopo le ultime 56 ore ho avuto effettivamente quel ritorno che speravo, e invece di cavalcare l’onda mi sono nascosto nuovamente. La vita aveva piani deversi per me. La paternità prima e la separazione dopo mi hanno portato a dover fare scelte diverse fatte più di concretezza che di sogni. Ma la domanda che mi facevo era sempre la stessa…di treni ne sono passati ed io non sono mai voluto salire. Perché? La risposta era semplice, amo recitare amo il mio lavoro, ma non mi bastava, il mio meglio sentivo che non riusciva ad uscire ad emergere, non mi sentivo libero, con la regia e la scrittura finalmente si. Ho trovato il coraggio di ammetterlo mi sono liberato una volta per tutte del fantasma di mio padre ed ho affrontato questa nuova sfida con tanta umiltà. Ho aperto una piccola casa di produzione la Father&son che sta diventando una piccola realtà, documentari, cortometraggi come l’ultimo Pizza Marconi si sono “difesi” bene e stiamo preparando il mio primo lungo dietro la macchina. E’ una bella maratona!Se è cinema indipendente lo dicono i fatti. Completamente autosufficiente dalla pre produzione alla distribuzione. E’ possibile questo cinema in Italia ed è anche gradito dal pubblico, diventa impossibile quando non funziona il meccanismo dei fondi per la produzione e distribuzione, e quando gli imprenditori hanno paura ad investire perchè o truffati da qualche improvvisato o devastati dalla crisi. E parlo anche da imprenditore. Arriveranno tempi migliori si spera…

7)Cosa deve fare lo Stato, in concreto  per sostenere il cinema italiano?

Lo stato deve capire che in Italia se si vogliono fare i soldi veri basta usare il cervello e potrebbero comunque rimanere con la pancia all’aria come fanno adesso…investire nella cultura nel turismo, ridare nuova linfa ad un paese unico e completamente indipendente! Far ripartire le industrie come quella cinematografica, ed intendo il mondo dell’intrattenimento in generale, ormai il cinema sta diventando come il teatro vent’anni fa, qualcosa da intenditori. Lo stato deve permettere a chi ha progetti validi di poterli realizzare senza rischiare il capitale di famiglia per aprire un mutuo.

8)Il cinema indipendente, la distribuzione di questi film indipendenti e la loro produzione.

Pizza Marconi che diventerà Il Primo degli Ultimi nel lungo ispirato, è un esempio di come nasce un progetto filmico indipendente in Italia. Un corto di 15 minuti, riscuote consensi di critica viene notato, viene proiettato anche in una manciata di sale in Italia e un’idea diventa una sceneggiatura di un lungometraggio che a sua volta trova riscontro anche con il meccanismo distributivo. Ora dirti se usciremo con 50 copie o 200 se sarà a febbraio o ad Agosto lo dirà solo il tempo e i giornalieri che presenteremo…ma anche se con tante difficoltà io credo che se una storia è bella in un modo o nell’altro il modo di raccontarla si trova. Vedi Gabriele Mainetti e il suo Jeeg Robot, ha lottato ma hai visto che risultati…!!

9)Il mercato cinematografico  e il pubblico: quanta influenza hanno oggi i social network ?

Quando ho iniziato questo lavoro era la fine degli anni 90 l’inizio della rivoluzione…prima quando si preparava la promozione del film e l’uscita nelle sale sentivo parlare di manifesti, parapedonali…adesso è tutto diverso. E’ un cinema fatto di concept creati in tempo reale e diffusi in 30 secondi a due miliardi di persone…roba forte. Prima il pubblico conosceva il suo protagonista seduto in platea, era un percorso che durava tutta la pellicola. Ora la gente già conosce tutto prima ancora di vedere il film, si creano aspettative, pressioni. Una volta bastava una locandina fumettosa e dai colori sgargianti, ora è un manicomio.