Prologo d’Artista
Rumori di clacson, auto rombanti, luminarie a festa, il vigile smista al centro della piazza una corrente di automobili: cammino lungo corso Vittorio Emanuele, superando scalinate, chiese, palazzi antichi. Supero il teatro, passando attraverso tutto il caotico movimento del pomeriggio forsennato, di chi rientra dai luoghi di lavoro, attraversando brulicante ventre della città. Il luogo dell’appuntamento è ancora distante, e bisogna affrontare il corpo a corpo della fiumana di Via del Corso. La mèta del viaggio è , in Piazza di Spagna, incontrare, quella sfumatura esatta d’attrice, quella fragranza di semplicità e classe, la cui musa ispiratrice, è stata – forse, ci piace immaginarlo – la “Sabrina” di Vacanze Romane (film di William Wyler, con Audrey Hepburn e Gregory Peck). Ecco, ecco il caffè, sì proprio quello de “Il Talento di Mister Ripley” (regia di Anthony Minghella). Sono appena giunta e Francesca Romana è già seduta a un tavolino, più puntuale di me: sorridente, gentile, affabile e subito si crea, un clima di autenticità, che fa parte, del suo essere, autenticamente, artista. “Che prendono le signore?” “Un caffè per la signora, un the verde per me grazie”. La scalinata ci osserva sorridente, affettuosa. Non c’è Matt Dammon, ma va bene così.
Intervista
Gli esordi alla scuola di teatro: prima “La Scaletta”, poi l’Accademia Silvio D’Amico.
Uscita dal liceo dove avevo studiato mimo, dopo l’anno della maturità, ho frequentato una scuola di teatro per capire se era la mia strada…a diciannove anni non sai se il talento ce l’hai o no. Ho frequentato un anno alla scuola di recitazione “La Scaletta” e poi sono stata ammessa all’Accademia Nazionale Silvio D’Amico, dove studiavamo come pazzi per più di dieci ore il giorno. Già al terzo anno di accademia, ho fatto il mio primo film che era un “articolo 28” (film prodotti con stanziamenti statali in base all’articolo ventotto della legge 1213 n. d. R.) in provincia di Ferrara: da quel momento mi si è aperto un mondo.

L’esordio nel cinema.
Ho dovuto chiedere un permesso in Accademia per fare questo film. Io amo molto il cinema fin da quando ero solo una spettatrice. I primi anni ho lavorato molto in teatro ho continuato a studiare per esempio con Susan Strasberg e ho cominciato a fare delle piccole, in cinema.

Con Pupi Avati in “La Cena per farli conoscere” e “Gli amici del bar Margherita”. Che regista è?

Un maestro, uno di quelli che ti dirige senza che te ne accorgi, che ti accompagna senza lasciarti solo, senti una mano che ti guida delicata e presente, autorevole, che ti chiede, ma ti lascia anche fare.. son cosi i maestri.
Anche Bernardo Bertolucci, che anni dopo ho conosciuto sul set del film “Io e Te”: mio figlio è stato il protagonista di quel film. Io ero un amante del cinema di Bertolucci, da sempre, da quando avevo quattordici anni. Dopo la prima settimana di set, lui mi chiese: ”Ti va di fare una piccola cosa, un piccolo ruolo?”. Abbiamo girato ed io pensavo: ” E’ una piccola parte, non mi dirà nulla.” E invece no, mi diceva: ”Io vorrei che tu la facessi così e così, vorrei questo sguardo”.

Il lavoro sul personaggio?
Bertolucci voleva che il mio personaggio avesse questo sguardo misto di curiosità e di sospetto. Il personaggio interpretato da mio figlio accumulava barattoli di nutella e altro in cantina. Sono stata lì, sul set, dieci settimane, ad accompagnare mio figlio, che all’epoca era minorenne. Era una bella sensazione perché quando lui si voltava, vedeva me ed era sereno.
Ha partecipato al Festival “50 giorni di Cinema – XXXVIII Festival internazionale di Cinema e Donne“, a Firenze. Che esperienza è stata?
Bellissima esperienza !Abbiamo partecipato al Festival con il cortometraggio “Offline”, che è la storia di un conflitto generazionale tra donne : il mio personaggio, per così dire più vecchio, soffre di gelosia nei confronti di quello più giovane; è la figura di una donna che ha perso un po’ la bussola, vedendo che gli uomini non la guardano più. E’ il tema della donna nel cinema italiano: i ruoli sono spesso, alla mia età, quello la mamma o della moglie che sta in casa, vicino al marito. In qualche modo, ho spinto io la regista affinchè venisse prodotta questa opera.
E’ un problema di scrittura o d’idee?
Più che altro non si ha ancora il coraggio di rappresentare la donna per quella che è nella società.
“Gli angeli del male” con Placido?
Regista fantastico, per altro conosco Kim (Kim Rossi Stuart n.d. R.) eravamo compagni di scuola alla scuola “La scaletta”. Nel film ero la mamma di Giuliana, la compagna di Vallanzasca in carcere.Poi ho girato sul set con l’attrice che interpreta la migliore amica di Vallanzasca…era una spagnola, non parlava bene inglese ed era il suo primo giorno di set. Con Placido si lavora bene.

Non è collerico, no?
Beh quando c’ero io…
..Era Calmo…
Era stanco e tra un’inquadratura e l’altra riusciva a dormire tre minuti…Bellissimo! Poi si riprendeva come se non fosse successo nulla.. ripeto, mi sono trovata molto bene con lui.
I film tv “Non dirlo al mio capo” e “La mia casa è piena di specchi” nella sua multiforme carriera, le hanno permesso di girare sul set con Sophia Loren. Che le ha trasmesso professionalmente e umanamente?
Lei è una persona che mette il cuore, nelle cose che fa. Il primo giorno avevo tutte le scene con lei… Mi ha messo a mio agio, mi ha abbracciato. Interpretavo un personaggio che lei ha conosciuto realmente nella sua vita.
Il film tv “La mia casa piena di specchi” – una miniserie in due puntate – narrava la vera storia della Loren quando viveva, con sua madre, in una stanza in affitto, nel pensionato. La storia è tratta da un libro che ha scritto la sorella Anna: ero emozionata nell’interpretare la signora Lina, padrona del pensionato, una persona che Sophia Loren aveva conosciuto realmente. Per interpretare Lina, ho studiato e visto documentari su come camminavano le donne all’epoca, come si vestivano, il portamento, etc.

Primo Dopoguerra?
Sì nel 1948, circa. Abbiamo provato la prima scena e la sorella Anna è venuta da me, e ha mi ha detto: “Sai era proprio così la signora Lina!”. E questo è stato bellissimo perché era stato un lavoro duro, un provare, riprovare: volevo darle un po’ di accento romano, di carattere, senza farlo diventare un carattere, come si dice in gergo.
Ho visto le sue tante partecipazioni a queste serie tv. Che differenza c’è tra lavorare in un film e in una serie televisiva?
La differenza più grossa sta nella tempistica, nel senso che in cinema giro due o tre scene in un giorno, in una mini serie posso arrivare a girare quattro scene, in una serie lunga si arriva a sei scene! I tempi, dunque, sono importanti: devi arrivare che sei già pronto, sul personaggio essere duttile e veloce a cambiare. Mentre in cinema puoi prenderti più tempo: con Placido abbiamo letto la scena, abbiamo fatto una prova, poi, lui ha cambiato… abbiamo sperimentato. In una serie televisiva non te lo puoi permettere, mai.
Film indipendente americano?
“Florence Yesterday”. Cercavano un’attrice italiana per interpretare l’insegnante di piano della protagonista.
Com’è la regista, Ursula Grisham?
Ah, mi ha invitata a cena, il giorno prima di girare, per spiegarmi esattamente quello che voleva nella scena e come voleva lavorarci sopra.
Un modo molto differente di lavorare rispetto ai registi italiani?
Si ahimè sì. Una grande cura nella relazione con l’attore: t’incontra la sera prima per farti maturare le cose ti ha detto e una grande cura della recitazione.
Quindi il nostro cinema deve ancora ritornare a qui livelli? Anche se noi eravamo eccome, a quei livelli di eccellenza.
Noi abbiamo attraversato una fase discendente, ma, vedo attori che lavorano bene sulla recitazione e anche alcuni registi cominciano ad avere quella cura. Ho fatto un provino per una serie televisiva, con un regista giovane e sono stata strafelice, finalmente, di avere un regista che dice “Proviamo questa scena, vediamo come si può fare, proviamo questa strada, proviamo quest’altra.” E tutto in sede di provino!
Prossimamente la serie tv “Immaturi” per la regia di Rolando Ravello.
Sì. Rolando Ravello è un regista che ha una visione moderna della recitazione e della regia, con lui mi sento a mio agio, più comoda.
Tutte queste serie tv hanno avuto molto successo.
Sì, in particolare “Non dirlo al mio capo” ha avuto grande successo, anche se il mio non era un ruolo così grande, mi hanno fermato per strada, per congratularsi.
Il personaggio che più ha amato?
Uhm… La signora Lina nella fiction “La casa è piena di specchi”, perché è molto lontana da me. Un ruolo ti mette nelle condizioni di lavorare su qualcosa che devi mettere nel corpo, un modo, una postura diversa, un respiro. Pensando a Bertolucci e alla scena del film “L’ultimo tango a Parigi”, lei che ha lavorato con il regista, cosa le ha raccontato, della famosa scena del burro che tanto ha segnato l’attrice e che lei dichiarò non fosse concordata.
Può accadere che un regista si comporti da sadico, ma non è il caso Di Bertolucci, che dirige con amore gli attori. Si racconta invece di Visconti che fosse molto sadico con gli attori, anche Ronconi, era molto violento, psicologicamente. Bertolucci è stato onesto dicendo che l’attrice non sapeva nulla prima di girare e, infatti, lui voleva proprio una reazione vera. Inoltre Maria non era un’attrice navigata, e aveva altri problemi personali. Quando ho lavorato sul set del film “Io e Te”, Bertolucci, il giorno prima di girare la scena dell’uscita dalla cantina, fece vedere a mio figlio tutto il premontato. Mio figlio si è visto, nel monitor, e si è detto: ”Sono così?”. Quel turbamento gli è rimasto addosso ed era proprio quello che il regista voleva ottenere perché funzionasse la scena. Se pensiamo invece a registi come Lars Von Trier… so che chi ha lavorato con lui è stato male. L’attore deve essere molto sano, deve avere un suo equilibrio… non puoi fare questo lavoro altrimenti, che ti mette a dura prova, ogni volta che fai un provino.
Lei ha lavorato sempre grazie alle sue capacità?
Sì, una volta sola, negli anni novanta, un mio parente volle farmi una “raccomandazione” per un Teatro Stabile.. io dissi invece al regista: ” Chiamami, solo, se hai bisogno di me”. Poi il lavoro non l’ho preso, ma ero contenta della mia scelta. Anche se ho penato molto perché mi sono passati davanti molto spesso. Quest’estate ho fatto un provino, il regista mi voleva, ma poi quando è stato il momento di firmare il contratto, non si sa com’è… hanno cambiato l’attrice. Però io mi voglio guardare allo specchio e dirmi: Francesca ti sei fatta da sola!
E lei si è fatta da sola
Totalmente, da sola!

Epilogo. Uno e più aneddoti.

Primo. Sotto il metrò.
Una miniserie televisiva che si chiamava “Caccia Segreta” ruotava tutto attorno al personaggio di questa donna innamorata che, mentre stava per essere sventato un attentato, voleva buttarsi sotto la metropolitana. Abbiamo passato quasi tutta la notte nella stazione metro “Barberini” a fare questa scena con gli stunt, che mi avevano imbragata in modo tale che potessi simulare il volo dalla banchina alle rotaie: il regista voleva un primo piano su di me alla “Sergio Leone”, ovvero molto molto stretto, quindi c’era il problema di arrivare con la cinepresa che mettesse a fuoco in un punto preciso quel movimento, altrimenti sarei andata fuori fuoco. Per fermarmi al punto giusto alla fine mi misero un ostativo che mi bloccava. Fu molto bello… potevo davvero gettarmi nel ruolo anima e corpo senza paura perché non ero solo imbracata..

Secondo. Una giornata particolare.
Quando abbiamo girato il film Vallanzasca, tutto un giorno interno nel carcere di Civitavecchia, sentivamo l’atmosfera di un luogo duro, difficile: fu una giornata particolare. Conoscevo molto bene Kim fin dall’84. Lui era molto concentrato sull’accento milanese del personaggio. Parlammo molto poco, poi mi spiegò che non poteva farlo più di tanto altrimenti l’accento che stava conservando, si poteva sporcare con il nostro romano e portarlo fuori rotta.

Terzo. L’icona
Sophia Loren aveva 75 anni quando girammo “La mia casa è piena di specchi”. Uno dei primi giorni in una pausa tra l’inquadratura è l’altra eravamo in piedi vicino al monitor vicino al regista e la costumista disse: ”Donna Sophia si sieda” E lei rispose: ”Con i costumi di scena? Assolutamente no, si rovinano”. Lei a 75 anni con i tacchi, non si sedeva, mai, per non rovinare i costumi di scena: questa è proprio la vecchia scuola, la vecchia meravigliosa scuola dell’attore.
Fine Intervista